Perché trattare sempre questo Paese come un paese dove, indipendentemente da chi ci governa, non funziona niente; perché essere sempre così pessimisti?

Premetto che questo è un mio, banale e magari sbagliato, pensiero e che non è assolutamente finalizzato ad elogiare o criticare competenze e responsabilità politiche (passate, presenti e future): è una semplice testimonianza.

Quello che è successo ieri, a seguito dell’incidente ferroviario avvenuto all’altezza di Firenze Castello, è stato descritto come una vera e propria Apocalisse e questa mattina tutti a puntare il dito sull’inefficienza delle nostre infrastrutture, su chi doveva fare e chi non ha fatto.

Ieri, come quasi tutte le settimane, ero in treno, questa volta rientrando da Torino; ben consapevole di quanto fosse successo, ho comunque intrapreso il mio viaggio dalla stazione di Porta Nuova alle 8.30.

Treno partito in orario e viaggiatori immediatamente informati che, per il momento, il convoglio era costretto a fermarsi a Bologna e annullare le successive fermate.

Che fare? Scendere a Milano, cercare un aereo per Roma, un treno per Genova e poi scendere costeggiando il Tirreno? Noleggiare un’auto?

Da quello che leggevo sui media sembrava che a Firenze fosse passato Attila, radendo al suolo ogni cosa, non solo l’erba, e che ormai non esistesse più una sola e povera Italia, ma due Italie disperate che si guardavano senza speranza di potersi un giorno rincontrare: il Sud e il Nord.

Tutte riflessioni che passavano nella mia mente e in quella degli altri passeggeri, i miei compagni di viaggio: la nonna che va a trovare i nipoti, l’imprenditore in trasferta, il militare graduato in rientro dalla licenza e il manager ipertecnologico dotato di ogni dispositivo per connettersi e abituato a usare il treno come fosse il proprio ufficio.

Così, in maniera del tutto naturale, si è improvvisata una piacevole “Unità di Crisi”, che ha iniziato a ragionare (e a parlare!), abbandonando telefoni e computer, per capire quale decisione prendere, perché ognuno di noi aveva un motivo importante per raggiungere la destinazione finale.

Quindi, al grido di battaglia garibaldino “Roma o Morte!” e abbandonata l’iniziale disperazione, è stata presa la decisione di raggiungere Bologna, dove ci avrebbero aspettato ben tre alternative: a) Auto a noleggio per poi valutare se raggiungere Firenze e di nuovo in treno per Roma, oppure nel caso più disperato in auto direttamente a Roma (ovviamente sarebbe stato necessario trovare l’auto); b) Sperare in un servizio di navetta che ci consentisse di raggiungere Firenze; c) Ottimismo e sperare nel ripristino della linea in tempi ragionevoli e sfruttare il fatto di essere già a Bologna per salire sul primo treno che venisse autorizzato a passare.

Una volta arrivati, ovviamente in orario, a Bologna, ognuno di noi, con compiti diversi, ha provveduto a raccogliere le informazioni necessarie per valutare le possibilità di cui sopra.

Sfruttando le varie esperienze, competenze e conoscenze, dopo aver analizzato tutte le informazioni raccolte, abbiamo deciso di scegliere la via dell’ottimismo; incoraggiati anche da un chiaro e rassicurante annuncio che diceva che a partire dalle 12.00 avrebbero riaperto il traffico sulla linea.

Nel frattempo, sui tabelloni iniziavano ad apparire indicazioni che ad alcuni treni, nonostante il ritardo, erano state assegnate di nuovo le destinazioni a Sud di Firenze. Ci siamo! Un addetto molto gentile ci informa, ovviamente su richiesta, che, vista la situazione, non ci sarebbe stato bisogno di fare il biglietto preso le biglietterie e che lo avremmo potuto fare tranquillamente a bordo senza maggiorazione.

Scegliamo quindi il treno e individuiamo il binario da dove far partire il nostro “arrembaggio”, immaginando una calca che quella della metro di Roma alla mattina non è nulla in confronto; e invece, niente. Pochissima gente in attesa del treno. Dove erano tutti? Perché eravamo così pochi a credere in questa possibilità? Ci stavamo sbagliando? No, eravamo convinti che saremmo arrivati a Roma, ma eravamo anche convinti che probabilmente la maggior parte delle persone si era persa tra le proteste e la rabbia e non avesse avuto modo di raccogliere quei chiari annunci di una lenta ma imminente ripresa dei collegamenti.

Così è stato. Siamo arrivati a Roma con solo un’ora e dieci minuti di ritardo rispetto all’orario previsto; personalmente, ho avuto il piacere di conoscere delle persone meravigliose con cui ho condiviso il mio viaggio e l’arrivo a destinazione, ma soprattutto una bella esperienza di cui parlarne al rientro ai miei figli.

Forse ieri si è un po’ esagerato, non confidando in una possibile “resilienza”, o forse mi è semplicemente andata bene e sono stato solo fortunato. 

Però una cosa è certa: ogni “crisi” è un’opportunità e i treni passano, ma vanno presi, sempre!

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